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M'Al-Z'Ahar - il profeta del deserto

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pride07
view post Posted on 12/7/2015, 15:18




Background M’Al-Z’ahar


Il deserto nasconde segreti ancestrali, e di questi segreti, molti, spesso, sono di tale grandezza, che il solo sussurro posson condurre gli uomini alla follia. Non si sa se sia il caldo asfissiante, il sole perenne o la mancanza d’acqua. Sta di fatto, che questi, per quanto impensabili, sono tutti veri.

Era un mattino, assolato come tanti, nell’oasi, e la vita, amena e tranquilla, trascorreva come al solito per M’Al-Z’Ahar, impegnato, come al solito, nel suo studio della magia. Annoiato dall’essere limitato alla conoscenza che il suo mentore era in grado di offrirgli, si sentiva oppresso, come chiuso in un guscio dal quale gli era impossibile uscire, in quanto, oltre l’oasi, vi era solo il deserto. Non aveva remore alcuna contro il suo mentore, Al Malik, l’unico mago ed erborista che abitava nel raggio di oltre mille leghe, e, di conseguenza, come suo apprendista, era meritevole di un certo rispetto da parte degli abitanti dell’oasi… non che ciò fosse richiesto o desiderato da questi. Un altro pensiero influenzava il suo giudizio e disturbava i suoi pensieri e riempiva i suoi sogni. Incubi così mostruosi da dargli il tormento anche quando era sveglio, lo rendeva irritabile e riportava alla mente ricordi che lo riconducevano alla sua infanzia, ricordi che avrebbe desiderato rimuovere per sempre dalla sua memoria.

Ancora non aveva dimenticato le parole del suo maestro, quelle che erano la sua storia, e di come lo avesse trovato, in mezzo ad una tempesta di sabbia, e di come lo avesse accolto in casa sua, anche spinto dalle insistenze della moglie, che, arrivata ormai a non poter più concepire figli, pensò bene di tenere per se il piccolo trovato quasi per caso in mezzo ad una tempesta. M’Al-H’Azar, che nella lingua del deserto vuol dire proprio “figlio del deserto”, quando si dice “il destino è nel nome”, quella era l’unica cosa che di vero sapeva su chi egli fosse, ma niente di chi fossero i suoi genitori o da dove egli provenisse, incubi a parte.

Già, quegli incubi, di cui credeva di essersi liberato, erano, da qualche tempo, tornati a tormentarlo, visioni senza senso, immagini che venivano proiettate nella sua mente, il più della volte erano una onirica visione del mondo o degli ambienti in cui si trova, quando gli andava bene, altrimenti qualcosa di peggio si manifestava alla sua mente, una visione distorta della realtà, simile a quelle precedenti, ma devastata e orripilante. Un singolo elemento infiammava la sua mente, quella di creature mostruose e brutali, che sembravano in grado di uccidere col solo sguardo, esseri dotati di denti affilati, demoni, ma di nessuna razza o stirpe di cui avesse conoscenza. Per quanto la piccola biblioteca di cui disponeva non era sufficiente a colmare le sue lacune, tutto ciò di cui era venuto a conoscenza era un’unica profezia che questi sogni lasciavano nella sua mente:

“IL VUOTO STA ARRIVANDO”
“L’OBLIO ATTENDE”

Oramai dopo oltre una settimana passata senza dormire, anche il suo mentore cominciava a preoccuparsi riguardo alle sue condizioni di salute, fisiche ma soprattutto mentali, in quanto anche durante il giorno M’Al-H’Azar aveva iniziato a sussurrare in una lingua che era estranea anche al suo mentore e di cui, nemmeno con le sue più potenti divinazioni, riusciva a comprendere. Al contempo M’Al-H’Azar sembrava quasi cominciare a sentire familiari queste “visioni”, anzi, più il tempo correva, più sentiva come una voce, inizialmente pacata, ma poi sempre più vibrante e distorta che lo chiamava, anche se qualcosa lo frenava ad andare, forse il senso di non poter attraversare il deserto senza morirvi nel tentativo di giungere alla voce che lo chiamava, o forse il non sapere se, il luogo che egli cercava fosse reale o solo una finzione, così come lo erano le voci che lo chiamavano. Tutto cambiò un giorno, quando, all’oasi, giunse un uomo, un erborista, giunto per sfuggire all’arsura del deserto, recando con se le proprie merci. Fu quel giorno che M’Al-Z’Ahar credette di aver trovato la soluzione al suo dilemma. Di nascosto, senza che il suo mentore lo venisse a sapere, incontrò l’erborista chiedendogli un unguento o un preparato per canalizzare meglio queste visioni. Dietro un lauto compenso, ottenuto mediante il suo lavoro come apprendista, l’erborista consegnò al giovane mago un fungo, con l’avvertenza di ingerirlo prima del sonno, senza che ingerisse null’altro nel suo stomaco, per massimizzarne gli effetti. Prese forza e coraggio e la sera si coricò subito dopo aver mangiato il fungo consegnatogli. Nonostante il sole ancora non aveva lasciato spazio all’oscurità della notte, quindi ancora proiettava i suoi roventi raggi sul suo viso, per la prima volta, in tutta la sua vita ciò che sentì fu solo il freddo gelido, come se la morte stessa lo avesse toccato per strappargli l’anima dal petto. Aveva sentito di una moltitudine di testi riguardanti casi di uomini che avevano perso il senno sotto il sole cocente del deserto, ma fu quel gelido abbraccio a far scattare in lui la prima scintilla di follia. Fu allora che vide la strada verso la città nascosta nel deserto, e null’altro aveva luce nella sua mente. Per quanto fosse riuscito a tenere a bada, alla fine non riuscì più a tenere a bada la voce che, non più lo chiamava, ma gli ordinava di raggiungerlo. Quel giorno cedette. Si avventurò nel deserto, senza provviste, seguendo l'ingannevole richiamo della voce. La sua destinazione: una civiltà perduta, a est, nota negli antichi testi come Icathia. Pochi credevano che Icathia fosse mai esistita, ed era dato per scontato che, anche nel caso, la sabbia del deserto l'avesse divorata per sempre. Quando M’Al-Z’Ahar cadde esausto, si trovò alla base di un bizzarro obelisco in rovina. Vide le geometrie aliene di un'antica città, ornata da idoli di divinità oscure e terrificanti. I suoi occhi, vedendo ciò che i comuni mortali non potevano vedere, si riempirono dell'essenza del Vuoto. Le sue mutevoli visioni del futuro vennero rimpiazzate dall'immutabile promessa dell'invasione del mondo da parte delle creature del Vuoto. Si ritrovò tra le dune, conscio di non essere più solo. Il sole del deserto gli aveva ormai bruciato le palpebre e le pupille, rendendolo cieco, ma non era più necessaria, in quanto la voce di un essere incredibilmente superiore e potente, che lo avvertiva che, le sue visioni, erano tutte vere, e che egli era il profeta di ciò che stava per arrivare. L’essere guardandolo negli occhi, lo aveva privato della vista mediante il sole, ma gli aveva donato la capacità di vedere ciò che ai comuni mortali era nascosto. M’Al-Z’Ahar adesso era cieco, ma vedeva comunque un mondo sottoposto ad un perenne devasto, divorato dai mostri delle sue visioni, come se fossero usciti dal portale che aveva visto in quel pilastro. L’essere lo aveva marchiato, donandogli anche un potere, quello di poter anche comandare questi esseri, o di richiamarne dal loro piano di esistenza, se avesse avuto la volontà di controllarle, a seconda di quanto fosse forte la sua volontà. Esposto tale monito, la voce, per la prima volta da mesi, si ammutolì. Vagò nel deserto, senza meta, fino a quando non svenne, sfinito, con la faccia nella sabbia arroventata. Ma non era la sua fine, in quanto il destino aveva qualcos’altro in serbo per lui. Infatti, fu proprio ritrovato da due squadre di ricerca partite dall’oasi, per trarlo in salvo. Cieco, disidratato, affamato e quasi in preda alla follia, venne rifocillato e guarito dalle ferite, e in seguito fatto dormire. Questa volta, a svegliarlo, più che il gelo, come la prima volta, fu il caldo asfissiante, e il fumo che gli bruciava la gola. L’intera oasi andava a fuoco, e tutto ciò che conosceva era divorato dalle fiamme. Rapidamente, arrancò verso un’uscita, guidato dall’olfatto e dal poco vento che filtrava in mezzo alle fiamme. Uscito all’aperto, venne investito dal calore delle fiamme, e il puzzo della carne bruciata e marcia gli diede il voltastomaco, inducendogli il vomito. Ripresosi, si librò con un incantesimo verso l’alto, notando null’altro che la devastazione e morte. Fu allora che, la follia si impadronì di lui. In mezzo alla morte e alla devastazione creata da una forza sconosciuta, nel deserto ciò che riecheggiava nel deserto era la sua risata, incessante e rumorosa. Al mattino, seppellita l’oasi con un gigantesco tappeto di sabbia, ciò che ne emerse fu un piccolo essere che sembrava conoscerlo e che cominciò a seguirlo. Sparita l’oasi e con esso l’unico punto che nel deserto voleva significare la salvezza dalla morte, M’Al-Z’Ahar si incamminò verso il nord, con quelle voci che ancora risuonavano nella sua testa, e con un eterno dilemma che ronzava nella sua mente: Cosa posso fare per questo vuoto? Fermarlo? O facilitarne l’arrivo? Ma soprattutto: l’umanità merita la fine o una seconda possibilità?

Una cosa era sicura: Il Vuoto sta arrivando.

'Che crolli la terra, che sprofondi il mare, che cada il cielo... Loro arriveranno.''


Caratterizzazione personaggio:


rappresentazione pg


M’Al-Z’Ahar presenta i tipici tratti da uomo del deserto: pelle abbronzanta dalla progressiva esposizione ai raggi del sole, capelli color nero pece, abiti di color blu scuro, o di color porpora. I suoi occhi, bruciati, in seguito al camminare per giorni nel deserto cocente senza mai chiudere gli occhi, sono adesso solo bianchi come il latte. Cieco, affida il suo cammino al suo fido famiglio, koggy, un verme delle sabbie, che camuffa tramite le sue abilità per farlo somigliare ad un cane di piccola taglia, in modo da girare indisturbato senza suscitare paura nelle persone che potrebbero risultare impaurite dal suo aspetto. Gioviale ma paranoico, M’Al-Z’Ahar alterna la sua fluente e acculturata parlantina per ammaliare i suoi ascoltatori, quando si sveglia col piede giusto. Il suo problema principale è dato dalle sue “visioni”, o per meglio dire, sogni ad occhi aperti che lo portano ad essere non confidente con gli estranei, vedendo in loro, a volte, un pericolo, per se o per il suo famiglio. Per quanto sia repulsivo nei confronti del mondo esterno, la curiosità per tutto ciò che si trova al di fuori del deserto è per lui materia di interesse. Pur se subdolo e, di quanto, doppiogiochista, non perde mai di vista il suo compito, ossia, portare il verbo della sua visione a quanti possa interessare, o a quanti siano disposti ad ascoltare, a credere e “vedere”.

Famiglio

Per quanto l’aspetto possa essere spaventoso o ripugnante, la taglia di questo minuscolo vermicello lo rende al più adorabile o al pari di un cagnolino. Il comportamento di questo verme del deserto è scontroso verso tutto e tutti, eccezion fatta che per il suo padrone, la cui vita sembra essere legata a doppio-filo. Impregnato anch’egli di poteri demoniaci, sembra mostrare apprensione per il suo padrone, dal quale non si separa mai, e per il quale più, che un compagno, la sua guida e la sua vista.

Edited by helas - 20/7/2015, 23:40
 
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